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Anno: 2017
Etichetta: Good Fight, Cooking Vinyl
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C’è un momento in cui i glitter spariscono, i filtri di Instagram e gli adesivi di Facebook vanno in crash, l’idea che ogni cosa andrà da sola per il verso giusto si dissolve e tutto ciò che rimane è uno specchio sincero e tagliente che riflette la nostra vita e funziona all’inverso di un contemporaneo ritratto di Dorian Gray: ignorarlo porta a dissolverci in un magma indefinito privo di dolore, ma anche di identità; affrontarlo brucia ma alla fine dei conti ci fa guadagnare il nostro nome e la nostra persona. E capisci che quello specchio che riflette la tua personale vita rappresentà di per sé la vita in generale: non tutto andrà bene, non tutto andrà male, ma ci sarà da sudare.

Vivo così questo album dei ‘68, a torto o ragione, sebbene pare che al cantante Josh Scogin non importi molto di essere frainteso.

“At the end of the day, if people don’t understand where I am coming from I think that would be okay.”

Josh Scogin riguardo la possibilità che i suoi testi vengano interpretati diversamente dalla sua visione

Ascoltando questo disco, mi viene da immaginare una realtà parallela in cui i Nirvana sono riusciti a viaggiare nel tempo intatti fino ai giorni nostri e arrivando, dopo aver dato un’occhiata all’intorno, avessero detto “Bella merda. Vabbè, diamoci da fare.”. E, capite due cose del mondo avessero fatto un nuovo disco. Un grunge dei giorni nostri che ha recepito dei suoni e delle finezze forse ancora poco diffuse negli anni ‘90. E che, pur avendo questa ricordo delle sue origini, ha un’identità propria nelle parole e nella musica.

I suoni e i testi di questo album sono a volte molto duri, ruvidi, urlati al mondo o forse a una persona; altre volte invece è come ci fossero dei momenti di raccoglimento, più intimi e riflessivi, dove la ruvidezza rimane ma è parte di una lama latente che lentamente ci attraversa da parte a parte; altri pezzi sembrano avere il tono consapevole ma non rassegnato dei compromessi che ogni giorno facciamo per cercare di difendere il nostro grammo di felicità.

Consapevole ma non rassegnato: Scogin è cristiano, e si vede, soprattutto nell’ultima traccia. Non so con quale intensità lo sia, a malapena so che faccia abbia, ma la sua musica a me racconta di una religione che parla di spirito e non di dogmi, e in questo mi ritrovo pur non essendo credente (sperando di non scoprire poi che è in realtà un estremista antiabortista et similia).

We can wage war against the war of hate
At least in my dreams, I still believe we can

Anche io credo ancora sia possibile.
Non tutto andrà bene, non tutto andrà male, ma ci sarà da sudare.


grunge  post hardcore  rock