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Anno: 2014
Etichetta: In The Lobby
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Scrivere sulla musica è un esercizio interessante.
Quando ero studente, e in parte per il fatto che non sono mai stato uno studente particolarmente bravo, mi è spesso stata consigliata la tecnica di spiegare le cose agli altri. Spiegando qualcosa ci si costringe a un’elaborazione dei concetti, e per forza di cose si finisce per appropriarsene e a imprimerli meglio nella propria memoria.
Cercare di raccontare qualcosa su un album è molto simile: un conto è sentirlo e decidere che ci piace, e un altro è capire e spiegare perchè ci piace. E quindi si mette su l’album, si fa il vuoto nel cervello, e si cerca di percepire cosa ci smuove dentro, cosa ci porta soddisfazione, e ci appaga l’orecchio.
Ovviamente è più facile con generi con i quali siamo familiari. Se dovessi spiegare perché mi estasio ascoltando gli Street Bangerz di Gramatik, Kognitif, Emancipator, o Hugo Kant non avrei neanche bisogno di ascoltarli, e potrei snocciolare tutta una serie di motivi per cui il particolare tipo di hip hop strumentale che suonano mi appassiona: il ritmo lento e rilassante, i loop melodici ancestrali, i suoni rovinati e invecchiati, la convivenza di samples appartenenti a generi così diversi tra loro e via dicendo.
Davanti ad artisti come Playground Zero diventa più complicato.
Considero Playground Zero come una delle mie maggiori scoperte degli ultimi anni, e non saprei sinceramente dire perché. Certo, sulla carta spuntano diverse caselle: ritmi veloci e nervosi, un tocco di elettronica, un tocco di hip hop, il sempiterno Patchanka a me tanto caro, e il fatto che ogni pezzo è radicalmente diverso dagli altri. Ma ci deve essere di più.
La soddisfazione di averli scoperti da solo dopo ore di ascolto? Forse.
Il fatto di averne parlato con diverse persone, che li hanno apprezzati molto? Questo è molto gratificante.
Sicuramente il contesto all’interno del quale ci siamo rapportati per la prima volta con la musica è importantissimo e influisce molto su come la apprezziamo.
Ma non è tutto.
Playground ZerO è una band disomogenea, poligenere, che si è divertita da matti a scrivere e interpretare le tredici tracce del suo primo album. La creatività, la voglia di fare e il divertimento di suonare senza troppi complessi trasuda da ogni brano. Il rischio di questa vulcanicità è sempre quello di sacrificare la tecnica e la qualità della musica, con risultati scarsi, incoerenti e dozzinali. Ma una volta ogni tanto i pianeti si allineano e qualcuno trova il giusto compromesso, e anche un rompiscatole puntiglioso come me mette da parte la sua sete per i tecnicismi leccati, perdona una o due grezzate tecniche e un’occasionale pigrizia compositiva e si gode un po’ di energia creativa allo stato puro.