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Anno: 2019
Etichetta: Forever Living Originals
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Mi ricordo che studiando storia dell’architettura rimasi impressionato da quanto lessi su Mies Van Der Rohe, in particolare sul suo progetto per l’Illinois Institute of Technology: una struttura in acciaio e vetro, assolutamente moderna e all’avanguardia per l’epoca, che presentava però una monumentalità classica degna dell’Acropoli di Atene.
Un progetto in grado di trascendere il tempo, anzi di viaggiarvi attraverso, di trovarsi contemporaneamente in due epoche distanti.
Come? Come poteva riuscire nel fare cìò, pur utilizzando materiali così differenti? Dov’era il segreto, dov’era il trucco?
Mies aveva visto oltre la superficie. Oltre il marmo dell’Acropoli, oltre la sua posizione sopraelevata; l’architetto aveva trovato l’essenza della monumentalità e l’aveva trovata negli aspetti più impliciti, meno chiassosi: la scansione delle colonne, le proporzioni tra pieni e vuoti. Un’osservazione profonda, intima, gli aveva permesso di assimilare un concentrato purissimo che conteneva in sé solo ciò che era davvero essenziale in quell’edificio. E di infonderlo nel suo progetto, secoli dopo.
Ed eccoci a 5, e ai Sault. Un gruppo a cui mi viene spontaneo associare il termine “essenziale”.
Essenziale nelle informazioni che lo riguardano: di loro si sa che sono 3, di cui l’unico componente esplicitamente fisso parrebbe essere il produttore Inflo (che ha prodotto anche l’ultimo album di Michael Kiwanuka insieme a Danger Mouse) e si sa che hanno fatto due album, entrambi nel 2019.
Essenziale nel modo di comunicare: i Sault hanno un sito sul quale si trova il loro secondo disco, qualche profilo social popolato solo da post con i loro pezzi, senza alcun commento, un profilo Bandcamp con i loro due album. I quali si chiamano rispettivamente 5 e 7 e hanno due copertine sostanzialmente uguali, egualmente criptiche tanto quanto i nomi.
Infine, essenziale è ovviamente la loro musica. Come dei Mies Van Der Rohe in fissa con la disco, con il funk, con la samba, con il soul e in alcuni passaggi sembrerebbe anche con il reggae roots, i Sault riescono a estrarre da questi generi, con un grado assoluto di purezza, i rispettivi elementi fondanti, ripulendoli da qualsiasi orpello e ornamento e mescolandoli per ottenere un disco secco e incisivo, essenziale ma non minimale. Sintetizzatori, hand-claps, voci che si alternano a volte sinuose, a volte in coro e con un’acidità stile “living inna di ghetto”; il tutto mentre si viaggia su un’onnipresente accoppiata basso-batteria protagonista indiscussa della scena, così netta e penetrante da poter probabilmente riuscire a bucare una bara e il terreno soprastante per riportare a ballare anche un morto.
Una nota: 5 e 7 sono usciti entrambi nel 2019, direi che si potrebbero praticamente considerare gemelli; ho deciso di scrivere di 5 perché personalmente l’ho trovato più vivo, coinvolgente e, che ve lo dico a fare,
essenziale.
groove funk disco soul roots reggae synth pop samba