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Anno: 2018
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Tra le varie, amo la musica pesante. Veloce. Violenta. É liberatoria. Ci sono momenti in cui si è prossimi a un collasso emotivo e psicologico, un’implosione imminente derivante da un sovraccarico di energia che non abbiamo possibilità di trasformare immediatamente e che si prepara ad avere la meglio su di noi. In quei momenti, quella musica così poderosa e incontrollabile fluisce nel mio corpo come un balsamo salvifico attraverso le cuffiette, due valvole che liberano quella massa di materia oscura intrappolata e prossima all’esplosione e ridanno alle cellule la possibilità di respirare.
Ciò che invece non amo è l’assenza di armonia, di melodia, il rumore scoordinato. Il problema non è nel peso e nella violenza sonora delle singole parti, ma nella profondità e nell’attenzione data al processo di metterle insieme. In quel cosmo di mezzo, la differenza tra il rumore gratuito e l’espressione infuocata delle proprie emozioni. Il problema non è la violenza in sè: il problema èe la violenza senza progetto, che diventa soltanto gratuita dissipazione di energia.
It’s Hard To Have Hope è pesante, in tutto. A partire dal titolo. É veloce. É, legittimamente e genuinamente, violento, nella musica e nei testi. Le chitarre scorrono rapidissime come fulmini che tagliano il cielo, mentre affianco a loro cavalca instancabile la batteria con il suo “tupatupatupa” hardcore arrestato solo dalle briglie di bridge e ritornelli improvvisi. In tutto ciò, le voci urlano, più forte possibile, contro alcune delle più immonde schifezze che ci troviamo a vivere in questo migliore dei mondi possibili. Un disco di rabbia pura, assolutamente legittima, che non perde però mai di lucidità. Gli Svalbard sbandano a destra e a sinistra durante la loro cavalcata sonora quasi accecati dal furore che li guida, ma non escono mai dalla carreggiata, non finiscono mai nel burrone della cacofonia: c’è sempre una coerenza armonica, una melodicità che tiene i timpani incollati alle cuffie, i battiti del cuore sincronizzati alla grancassa. E l’attenzione su quello che sta succedendo. Non solo nelle nostre orecchie.
Perché questo è un altro elemento fondamentale di It’s Hard To Have Hope: i testi. Nessuno spazio per la poesia, per le metafore, per le figure retoriche: le parole degli Svalbard sono esplicite, crude e violente tanto quanto il mondo che descrivono. Questo è un aspetto che raramente riesco ad apprezzare in quei dischi dal contenuto politico i cui testi, appunto, paiono comunicati di partito, senza alcun elemento di astrazione artistica. Ma qui abbiamo un’eccezione: un disco che non vuole fare compromessi, e dalla musica alle parole decide di essere un lucido urlo di odio e rabbia chirurgicamente indirizzati. Niente generalismi antisistemici posati in nome di una radicalità di facciata: le tracce di questo disco si dedicano tutte a problemi specifici e assolutamente reali, che la musica che accompagna i testi ci trasmette con la rabbia che tuttə sentiamo dentro.
It’s Hard To Have Hope non è un disco di favole o di slogan: è un disco dell’oggi. E oggi, It’s Hard To Have Hope. Ma It’s Hard To Have Hope è certamente un disco di rabbia. La rabbia può evolvere in rassegnazione, o in progetto. Il progetto è speranza.
A noi la scelta.
When are we going to save what we’ve got?
post punk post hardcore post rock hardcore